“Antica lite io canto, opre lontane:
la battaglia dei topi e delle rane”
Batraco-mio-machia. Il titolo è roboante, ma significa semplicemente “La battaglia dei topi e delle rane”. L’evento che la scatena è la morte del principe dei topi Rubabriciole, che il re delle rane Gonfiagote fa annegare mentre lo porta sulle spalle a visitare lo stagno, immergendosi d’improvviso per paura di un serpente. E da lì, un precipitare di eventi: dichiarazioni di guerra, consigli bellici, corse agli armamenti, scontri sul campo e decisioni sui destini di popoli prese in alto… molto in alto: sull’Olimpo.
La Batracomiomachia è, ovviamente, una parodia: la più antica di tutti in tempi, forse. Una parodia dei poemi epici, che gli antichi amavano così tanto da attribuirla – erroneamente – allo stesso Omero. In realtà, si tratta di uno dei testi più misteriosi dell’antichità greca, di cui non si sa né l’autore né l’epoca in cui fu scritto. Eppure il poemetto ebbe un successo travolgente nel corso dei secoli, fino ad affascinare lo stesso Giacomo Leopardi che, appena diciassettenne, ne fece una scintillante traduzione in endecasillabi.
In scena, la Batracomiomachia non è rappresentata, ma evocata: attraverso parole e suoni. Tutti i personaggi della vicenda diranno la loro, con la loro voce. E pian piano prenderanno forma vari mondi, fatti di suoni che attraversano il tempo. Una storia antica quanto l’uomo, scritta con rime ottocentesche, parlerà all’oggi, come solo i classici sanno fare. Sarà forse solo un gioco, ma quel gioco serio che i bambini conoscono molto bene: il gioco della guerra.